Sabato 23 aprile un gruppo di giovani del vicariato di Abano ha scelto di passare un week-end di amicizia e di formazione in vista della Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Per prepararsi alla visita del campo di sterminio di Auschwitz, che sarà un momento forte dell’esperienza dei nostri giovani nel prossimo luglio, i ragazzi sono andati in visita al Tempo e al Museo dell’Internato Ignoto a Terranegra e all’attiguo Giardino dei Giusti. “Grazie alla competente ed appassionata guida di Luisa Rampazzo, abbiamo scoperto un tesoro della città di Padova che era a noi tutti completamente sconosciuto”, dicono i giovani. Mons. Giovanni Fortin volle il Museo, accanto al Tempio dedicato all’Internato Ignoto, per documentare in particolare la triste storia degli I.M.I., cioè dei militari italiani che dopo l’8 settembre furono arrestati e, rifiutando di collaborare con il Reich e la Repubblica di Salò, furono internati in condizioni terribili. Don Giovanni Fortin nel 1943 accolse in canonica alcuni soldati inglesi offrendo loro un tetto e del cibo e per questa semplice opera di misericordia venne condannato a morte con l’accusa di tradimento. Con la mediazione dell’allora Vescovo di Padova, la pena si tramutò nella deportazione e don Giovanni trascorse alcuni anni nel campo di Dachau. Durante l’internamento decise in cuor suo che se fosse tornato vivo avrebbe voluto dedicare un tempio a tutti gli internati. Grazie a Dio, don Giovanni tornò a Terranegra e da lì iniziò l’avventura del Tempio dell’Internato Ignoto, poi arricchito dal Museo e nel 2008 dal Giardino dei Giusti.

Alcuni pannelli e tanti cimeli raccontano storie di ragazzi di vent’anni o poco più, insieme alle testimonianze relative alla Shoah e ad alcuni campi di concentramento della Germania nazista. Perché si può sempre dire un sì o un no, come dice l’iscrizione del Giardino dei Giusti: storie di gente normale, come Giorgio Perlasca, che nel contesto dei grandi genocidi dello scorso secolo – la Shoah, il genocidio degli Armeni, la guerra in Bosnia e in Rwanda – hanno compiuto gesti eroici per salvare delle vite umane dalla barbarie e dall’odio etnico. “Abbiamo raccolto una importante lezione di vita, per non dimenticare… Abbiamo sentito l’appello alla nostra coscienza, a guardarsi allo specchio con fierezza e senza vergogna”, ecco una risonanza dei giovani partecipanti.

Tra le tante fotografie di questa esperienza ci piace raccoglierne in particolare tre. Innanzitutto le opere di misericordia che costituiscono uno degli elementi centrali del Giubileo e della GMG. Le vetrate della cappella a destra del Tempio, dove c’è la tomba di don Fortin, illustrano le opere di misericordia corporale. Un normale parroco padovano ha dovuto patire solamente per aver dato da mangiare e aver accolto dei forestieri. Una testimonianza anche per noi. In secondo luogo, l’invito forte al perdono che il crocifisso del Tempio comunica in modo fortissimo, in particolare con la raffigurazione ai piedi della croce di una scena nella quale un sacerdote perdona con il sangue che scende dal crocifisso, quasi battezzando, un soldato e di fianco, un uomo ebreo piange disperato i suoi amici uccisi, ma accenna a un gesto di vicinanza ponendo una mano sulla spalla del soldato. Infine la giustizia che germoglia e cresce nel giardino davanti al Tempio. Siamo tutti chiamati a essere giusti, cioè a vivere quella giustizia del Regno nella nostra vita quotidiana, come possiamo, perché “si può sempre dire un sì o un no”, scritta che campeggia a caratteri cubitali all’ingresso del giardino e invito alla responsabilità di tutti.

 

don Paolo Zaramella